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San TRIFONE Martire - ALBO D'ORO della Pirotecnica
Albo dei Pirotecnici aggiornato al 2016

 

Aggiornato al 03 Ottobre 2016

LA FRATERNITADE OVERO SCUOLA
''IN HONORE DE MISSIER SAN ZORZI ET MISSIER SAN TRIFON,,

L'assemblea di circa 200 dalmati che nella primavera del 1451 diede vita alla nostra confraternita decise anche di porla sotto la protezione dei SS. Giorgio e Trifone. La scelta di questi due Santi può essere oggi motivo di curiosità presso gli stessi attuali confratelli ed occasione di indagine circa le cause di tale scelta. Stupisce anche che i numerosi Santi Protettori e compatroni delle principali città dalmate non siano in qualche modo ricordati nella Scuola. Ciò fa ritenere che la comunità dei dalmati residente a Venezia alla metà del '400 o per lo meno la grande maggioranza di coloro che promossero l'iniziativa della costituzione della confraternita abbiano avuto come luogo di provenienza ben determinate località della costa dalmata.
Nella riunione del 24 marzo 1451 fu eletto il Guardian Grande, il Vicario, lo Scrivano ed i dieci Decani componenti il primo Consiglio. Ma i documenti in nostro possesso nulla ci dicono circa le città dalmate di provenienza dei primi reggitori della Scuola. Nell'elenco giunto fino a noi viene riportato solo il nome ed il mestiere con la sola eccezione per lo scrivano che risulta un certo Nicolo da Cattaro. E' probabile però che la scelta sia stata fatta tenendo presenti i patroni delle città di origine della maggior parte dei promotori, ma questa deduzione, che può servire ad illuminarci circa la immigrazione dalmata nel capoluogo veneto nel '400, ha valore fino ad un certo punto.
Infatti se la scelta di San TRIFONE non fa sorgere dubbi essendo questo Santo notoriamente patrono della città di Cattaro per cui appare evidente una certa rilevanza numerica degli abitanti di quella città o per lo meno del comprensorio delle Bocche di Cattaro, la scelta di San Giorgio non ci è di molto aiuto per una precisa localizzazione poiché il culto del Santo Cavaliere era diffuso notevolmente per tutta la Dalmazia. In particolare esso era patrono della cittadina di Pago sull'isola omonima ma molte chiese sia della Dalmazia costiera che insulare lo avevano come titolare. San Giorgio era uno dei due grandi Santi soldati assai venerati in oriente (l'altro era San Teodoro compatrono di Venezia).
La leggenda fiorita intorno al giovane cavaliere romano, nativo della Cappadocia, martire per la fede, è notissima e la sua vittoriosa lotta contro il drago per liberare la principessa è stata immortalata nelle tele dei più prestigiosi pittori di ogni epoca. Ora non è qui compito nostro di approfondire le cause della « fortuna » di San Giorgio, ma è un fatto che, come in molte parti del mondo, anche in Dalmazia il suo culto era molto diffuso, come lo era del resto nella stessa Venezia ove veniva venerato fin dal IX secolo, culto di evidente derivazione bizantina tramite l'area ravennate. Importanti reliquie si trovavano a San Giorgio Maggiore e nella stessa basilica di San Marco e ben oltre 60 chiese del comprensorio lagunare, sia nelle varie isole che nella striscia di terraferma ai bordi della laguna, erano dedicate a San Giorgio.
E' opportuno però in queste brevi note ricordare che il XVI vescovo di Salona fu un San Giorgio, nativo di Meleda, che, con il suo martirio, contribuì nel 296 alla conversione della principessa Alessandra. Il padre Daniele Farlari nella sua opera « Illyricum sacrum » dimostra come gli atti dei due martiri spesso si confusero tra di loro e come ciò che narra la tradizione delle imprese eroiche del cavaliere San Giorgio, può convenire benissimo al martire San Giorgio vescovo di Salona. Ma forse il motivo della scelta va ricercato nel particolare fascino che la figura e le gesta del cavaliere cristiano pare avessero presso la gente di mare ed i dalmati, popolazione marittima per eccellenza, non facevano probabilmente eccezione a questo richiamo.
San TRIFONE, nativo della Frigia, patì il martirio nel III secolo sotto l'imperatore Decio. Nel 809 il suo corpo venne portato da una nave veneta a Cattaro, acquistate le spoglie e fabbricata la collegiata e la cattedrale. E' celebre la sua potenza contro gli spiriti maligni, dote questa che ebbe fin da bambino, per cui spesso appare nella iconografia religiosa in età giovanile nell'atto di liberare degli ossessi materializzando il demonio in forma di animali mostruosi e bizzarri. Santo questo non molto noto fuori dei confini della Dalmazia, pur tuttavia a Venezia era venerato nella chiesa di San Fantin, mentre a Mestre nella collegiata di San Lorenzo c'era un altare a Lui dedicato posto dietro l'organo ed il culto a questo Santo dava in passato luogo ad una delle feste tradizionali. Solo qualche anno più tardi appare per la prima volta accanto ai SS. Giorgio e TRIFONE il nome di San Girolamo, come compatrono della confraternita. Ne viene fatto esplicito cenno nell'indulgenza concessa ai confratelli nel 1464 dal Cardinale Bessarione.
E non poteva certo mancare il grande Santo, patrono di tutta la Dalmazia, figura di primo piano fra i grandi dottori della Chiesa. Questa aggiunta posteriore potrebbe far pensare ad una modifica della comunità per quanto riguarda la provenienza avvenuta con il prosperare della Scuola e ad una eventuale riserva circa i Santi Protettori per cui accostando ai primi il Patrono di tutta la Dalmazia, la questione, se posta, veniva risolta per sempre; ma è una presunzione che non ha alcuna possibilità di essere dimostrata. Anche San Girolamo è venerato a Venezia fin dal XIII secolo, culto con tutta probabilità portato da comunità monastiche ed era privilegio di altre chiese e confraternite; nella terraferma veneziana basterà ricordare che a San Girolamo è intitolata la chiesa ritenuta la più antica. Nella Scuola naturalmente, oltre a preziose ed importanti reliquie conservate con cura nelle apposite teche, i ricordi ed i richiami al culto dei Santi Patroni sono numerosissimi.
Il più famoso di questi, tale da solo a richiamare l'attenzione e l'ammirazione di studiosi e di appassionati di tutto il mondo, è il celebre ciclo di reieri che Vittore Carpaccio dedicò ai protettori della Scuola, illustrando con la sua arte singolare i momenti più significativi e celebrati della vita dei tre Santi, episodi del resto già molto noti da tempo, sia attraverso varie produzioni letterarie che tramite la copiosa produzione artistica di molti pittori. Gli episodi della vita di San Giorgio, dipinti dal Carpaccio, sono tratti dalla « Legenda aurea » dell'arcivescovo di Genova Jacopo da Varagine il quale nel XIII secolo scrisse la vita leggendaria di molti santi.
A Venezia venne stampata nel 1475 una edizione dell'opera, tradotta in volgare dal Manerbi, che ebbe molto successo. Per le storie di San Girolamo, oltre alla « Legenda aurea » il Carpaccio ebbe certamente come fonti anche il « Catalogus sanctorum » di Pietro de Natalibus che era un compendio sulla vita dei principali santi e, specie per l'ultimo quadro (la visione di S. Agostino), il « Hjeronimus, vita et transitus » edito a Venezia nel 1485 contenente la versione com­pleta delle leggende fiorite intorno a San Girolamo.
La fonte per la vita di San TRIFONE (che non appare nella « Legenda aurea ») è con tutta probabilità il codice membranaceo del 1466 esistente alla Marciana, miniato per como della nobile famiglia Bucchia di Cattaro. Oltre alle celeberrime tele carpaccesche, i Santi Patroni sono ricordati un po' dappertutto; in numerosi quadri della scala e della sala superiore, negli oggetti di oreficeria, nelle sculture esterne, nella « mariegola », nei documenti d'archivio. In particolare l'immagine del giovane cavaliere trionfante sul drago è presente un po' dovunque.
Una pala con fondo ora rappresentante San Giorgio, San TRIFONE e San Girolamo era collocata sull'altare dedicato alla nostra confraternita nella attigua chiesa di San Giovanni del Tempio; venne sistemata in seguito nell'altare a piano terreno del nuovo edificio della Scuola ove rimase fino al 1840 e qualche anno dopo venne rimossa. Di essa si sono conservati solo i due santi laterali San Girolamo e San TRIFONE che ora figurano ai lati dell'altare della sala superiore. Al centro dello stesso altare è sistemata una pala lignea quattrocentesca che rappresenta con vigorosa opera d'intaglio San Giorgio che assale il drago, mentre in basso ai lati appaiono gli altri due Patroni. Un altare dedicato a San Giorgio era posto al piano terreno del vecchio ospedale di Santa Caterina, mentre l'immagine del trionfante cavaliere fa bella mostra di sé al centro della facciata odierna della Scuola nel bassorilievo di Pietro da Salò della metà del '500.
E ancora vediamo i tre Santi patroni m numerosi quadri della scala e della sala superiore, sia lungo le pareti che nelle decorazioni del soffitto, opere queste di scarso valore artistico ma ugualmente attestanti in maniera eloquente come il culto dei confratelli per i propri protettori sia stato amoroso e costante attraverso i tempi. Tra le opere di oreficeria troviamo San Giorgio nel « verso » della bellissima croce processionale in argento e cristallo di rocca, opera pregevolissima della metà del quattrocento e nel « recto » della figura allegorica della Pace, uno sbalzo in argento del XVII secolo ove il santo cavaliere figura in un ovale al centro in basso sopra la scritta « Scola de S. Zorzi e S. Trifon de la Nation Dalmatina ».
E infine nella copertina della « Mariegola », il prezioso libro miniato contenente lo statuto ed i regolamenti della Scuola, abbiamo San Giorgio e San Girolamo in due rilievi in argento, racchiusi entrambi in una cornice gotica, fine lavoro di oreficeria risalente con molta probabilità agli stessi anni di fondazione della Scuola. Da antichi inventari risulta inoltre che in altre opere d'arte, ora scomparse, erano rappresentati i Santi Patroni, ma basteranno qui questi pochi cenni per attestare con tutta l'evidenza possibile in quale venerazione Essi erano tenuti da parte dei confratelli.
Va rilevato piuttosto che il culto era non saltuario o legato alla particolare pietà di qualche preposto, ma costante ed uniforme attraverso i secoli, estrinsecandosi non solo tramite esterne manifestazioni artistiche ma attraverso zelanti pratiche di culto e concrete opere di generosità verso i bisognosi. Vedremo in seguito come sotto la protezione e benedizione dei Santi Patroni San Giorgio, San TRIFONE e San Girolamo, la Scuola mosse i primi passi, si diede i primi statuti e regolamenti, ottenne indulgenze e benefici, e cominciò la sua lunga vita, modesta sì ma vigorosamente attiva, non priva di interesse e di importanza, riconosciuta questa del resto in più di una circostanza come avremo occasione di vedere.


BIBLIOGRAFIA

Litanie dei Santi della Dalmazia — Aitale, Zara, 1882.
Ludwig-Molmenti — Vittore Carpaccio — Milano 1906.
Tramontin, Niero, Musolino, Canciani — Culto dei Santi a Venezia — Venezia 1965.
Guido Perocco — Carpaccio nella Scuola di S. Giorgio degli Schiavoni — Venezia 1965.
Niero, Musolino, Fedalto, Tramontin — Culto dei Santi nella Terraferma veneziana — Venezia 1967.
Il miracolo di San TRIFONE
(VITTORE CARPACCIO)

La venerazione di martiri cristiani del terzo secolo, soldati dell'esercito convertitisi al Cristianesimo, come i Santi Trifone, Teodoro, Servolo, Sergio, Bacco e Giusto è quanto mai viva tra le popolazioni che vivono sulle sponde dell'Adriatico.
San Teodoro è il primo protettore di Venezia, i santi Sergio e Bacco sono gli antichissimi protettori di Ragusa, i santi Giusto e Servolo di Trieste ed infine San TRIFONE è patrono della città di Cattaro.
Trifone nacque a Campsade nella Frigia e subì il martirio insieme con san Respicio durante la persecuzione dell'imperatore Decio nel 250 per ordine del governatore della Bitinia. Nell' 809 alcuni mercanti veneziani, di ritorno dall'Asia minore, mentre stavano trasportando il corpo del Santo a Venezia, giunti in vista delle Bocche di Cattaro, furono colti da una violenta tempesta per cui dovettero riparare in una insenatura nei pressi della città.
Venuti a conoscenza del pio carico della nave veneziana, gli abitanti di Cattaro, guidati dal capo della città Andreaccio, vollero acquistare le sacre spoglie; elessero il Santo a loro patrono e cominciarono subito ad erigere un tempio in suo onore dove ancor oggi s'erge la cattedrale della città.
La vita di San TRIFONE non è descritta nella " Legenda Aurea ", il libro di Jacopo da Varagine da cui il Carpaccio trasse gli episodi dei SS. Giorgio e Girolamo che illustrò nei teleri dipinti per conto della Scuola Dalmata.
L'episodio narrato dal Carpaccio deriva da racconti apocrifi della vita del Santo, protettore della città di Cattaro in Dalmazia e titolare di quella cattedrale (che nella consueta iconografia viene rappresentata sulla sua mano destra): la fonte alla quale il pittore può con maggiore probabilità aver attinto è il codice membranaceo della Marciana del 1466 (Miracoli di San TRIFONE, CL. XI. It. Cod. 196) miniato per commissione della nobile famiglia Bucchia di Cattaro, indicato già dal Molmenti, nel quale si riporta che già da fanciullo il santo operava miracoli liberando dal demonio gli ossessi.
L'episodio raffigurato dal Carpaccio è l'ultimo della serie: la figlia dell'imperatore romano Gordiano era posseduta dal demonio, e soltanto il fanciullo Trifone, ricercato in tutto l'impero, riuscì a liberare la fanciulla dallo spirito maligno.
La scena rappresenta, dunque, il santo giovinetto che materializza in forma di basilisco lo spirito maligno uscito dalla bocca della figlia dell'imperatore. E il codice riporta il dialogo tra San TRIFONE ed il demonio, durante il quale il Santo si informa, tra lo stupore e la meraviglia degli astanti, della natura di Satana e delle sue tentazioni.
La partizione del quadro è scandita dal loggiato ove avviene il miracolo: al centro i due protagonisti, il santo ed il demonio vinto, con il quale, secondo la leggenda, avviene un colloquio sulla natura del peccato; a destra la principessa e l'imperatore con un gruppo di personaggi. Ritorniamo in una atmosfera che ricorda Santa Orsola; il Palucchini pensa di anteporre nella data questo dipinto ai primi tre di San Giorgio.
Una metà del quadro, ove si compie il miracolo, ha per sfondo un palazzo di architettura lombardesca; dai davanzali decorati con arazzi e da una scala esterna si affacciano delle figure verso il primo piano: sembrano comparse in funzione decorativa della messa in scena; hanno però un significato preciso tra le volte e le bifore, le animano con una partecipazione piena di gustosa inventiva, assieme alle note cromatiche che si scandiscono sui damaschi.
Miracolo di San TRIFONE

A sinistra il paesaggio si allarga in prospettiva verso una immagine più circostanziata della città di Venezia con il canale, i ponti, un campanile in mezzo alle case, ed il commento orale dei personaggi che ai distende sulla piazza, le scalinate ed un loggiato adornato a festa.
La decorazione della fascia marmorea in primo piano pone in evidenza alcun ricordi classici cari ad un umanista; pare di intravedere la figura di Tiberio a sinistra, che si alterna ad un busto rinascimentale, al centro l'imperatore Vitellio, poi un altro in simmetria con il secondo, ed infine un ritratto di Cesare. Nell'ovale al centro e nelle losanghe ai lati vi sono busti di imperatori, negli ottagoni ritratti di umanisti. Si tratta di riprese di fantasia dell'artista su modelli di medaglie classiche rinascimentali, che non hanno mai il formato che qui vediamo.
La nostra ricerca archeologica sul quadro può continuare sui basamenti delle colonne, entro losanghe dorate su fondi scuri ed anche sopra le bifore del palazzo lombardesco. Le immagini sono quasi del tutto consunte dal tempo e sembrano scolpiti alcuni rilievi classici come l'artista aveva fatto nel grande palazzo che domina il " Ritorno degli ambasciatori " di Sant'Orsola.
Il pittore ci tiene a farci conoscere il suo interesse umanistico per le medaglie, le placchette e le sculture antiche in un'epoca di medaglisti come il Camello, di letterati quali il Bembo e di collezionisti quale Domenico Grimani.
Il quadro è essenzialmente racconto: viene creato attraverso il giucco scenico tra i personaggi in posa e l'architettura, il vicendevole sciogliersi e il comporsi delle figure con un effetto statico e a volte pettegolo. Per rendersi conto però della diversità di questo racconto, rispetto a quello di altri pittori veneziani dell'epoca, che avevano lavorato per alcune Scuole veneziane, come Lazzaro Bastiani, il Diana, il Mansueti e lo stesso Gentile Bellini, bisogna osservare da vicino le singole figure, anche quelle lontane, concepite tutte come macchie di colore, che conservano la freschezza del tocco e dell'intuizione luministica, nel punto esatto in cui la nota cromatica acquista un suo significato, un accordo previsto nel contesto delle architetture, che si compongono insieme secondo un principio armonico
di Guido PEROCCO

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