BRUNO Trifone

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Trifone BRUNO
IL più estroso dei maestri pirotecnici, Trifone BRUNO, nasce col fuoco dentro, ad Adelfia (Ba), il 25 dicembre 1905. A 15 anni, Luigetto Nanna, della dinastia dei Nanna, da Casamassima, lo accoglie nella sua fabbrica. Ha dato prova dell'arte di caricare i cannoli ai suoi lavoranti. Trifone, come Michelangelo, è maestro prima di essere allievo.
Giovanissimo lavora a Verona presso una ditta di esplodenti, a Buffoluto, polveriera dì Stato. A 17 anni è capogiovani nella fabbrica di Augusto da Terlizzi e col fuoco dentro, se "ne scende" (scappa di casa ndr) con Brunetta sua sposa e dalla quale avrà 8 figli. A 19 anni è capogiovani nella fabbrica della vedova Vernola da Molfetta, dove prepara una sparata per Montrone (S. Trifone 1927) con 80 bombe di tiro. Uno spettacolo ancora vivo nella memoria dei suoi estimatori. Sollecitato dagli ammiratori, nel 1928 Trifone mette su fabbrica. Il suo nome da battaglia, fa scuola. Le sue bombe cantano. E' il re dei tempi e delle novità. Le sue bombe sono sempre più ardite, sino a sfidare i limiti dell'arte. Primo quello di far aprire la prima pacca della bomba a pochi metri dall'uscita del mortaio per alleggerirla e mandarla alta nel cielo. Altra sfida è la preparazione della polvere di lancio. Ha intuito che le tre componenti della polvere nera, nitrato (75 parti), carbone (15), zolfo (10) devono raggiungere un'altissima omogeneità, cui corrisponde una più alta velocità di combustione, conferendo alla miscela un forte potere di lancio, con risultati eccellenti sulla balistica. Infatti le bombe di Trifone raggiungono le nuvole e sono lunghe che non finiscono mai.
Egli conosce a menadito tutti i combustibili, dai metalli ai clorati, tutti i comburenti, dai nitrati alla scialacca, tutti i coloranti delle fiamme, dai solfati ai carbonati.

Trifone BRUNO
con alcuni suoi collaboratori

Ne sa più di un chimico e nel 1966 suggerisce ad una nota fabbrica di esplodenti italiana, fabbricante di razzi antigrandine, la collocazione di una valvola di scarico dei gas per eliminare un difetto di scoppio alla partenza. Re delle polveri, sostiene che "lapolvere non conosce padrone".
Nel 1940 spira aria di guerra. I fuochi pirotecnici sono vietati. Trifone è costretto a chiudere.
Emigra in Germania per un lavoro in miniera, dove rimane fino al 1943. L'8 settembre scappa aggrappato sotto un carro merci. In Germania lascia una fiamma con la quale mantiene una romantica corrispondenza.
Le sue lettere hanno un inizio comune: "Main liben fraulen". Nel 1945 riapre la fabbrica. Le materie prime scarseggiano. Nei campi degli alleati c'è polvere a buttare che neppure si paga. Trifone la usa per mina di lancio. Si tratta di polvere contenuta nelle bombe di aereo. E' fatta a palline. Per essere utilizzata deve essere triturata finemente. Le palline vengono versate nel mortaio, una vasca di pietra e battute con un maglio di legno, fino alla polverizzazione.
Alle ore 14,00 del 17 giugno 1946 lo zio di Trifone sta battendo con il maglio le palline. Pochi colpì di maglio ancora e si va a pranzo. I figli Giovanni (anni 20) e Michele (anni 18) hanno smesso. Michele dice allo zio: "Finisco io". Al primo colpo una fiamma violenta invade i tre. Giovanni muore il giorno dopo, lo zio tre giorni dopo. Michele sale al cielo nel mese di ottobre. Il tempo passa e sana le ferite.
Il 12 maggio 1956 il figlio Luigi (anni 18) trasporta sulla lambretta un sacchetto di polvere nera che, toccando sulla marmitta, si riscalda, esplode e manda in aria a pezzetti il mezzo e il ragazzo, sulla provinciale per Rutigliano, al chilometro 1,5 da Adelfia. Il 10 novembre 1956 (S. Trifone) a Montrone, Trifone si esibisce con uno spettacolo al di fuori dell'ordinario: il finale che è rimasto nella memoria di tutti gli estimatori e che molti maestri pirotecnici hanno tentato di imitare senza riuscirvi. Si trattò di due finali, il primo eccezionale nella stesura tradizionale, il secondo iniziò subito dopo l'ultimo botto del primo con bombe di grosso calibro ad alto potenziale, di eccellente fattura, ritmate, con quel ritmo che solo lui sapeva dosare, proseguendo con un inferno bis e una seconda chiusura più eccentrica, fragorosa e articolata da lasciare sbalorditi. Era la risposta di Trifone ai misteri delle misture di cui conosceva tutti i segreti e che per due volte avevano funestato al sua fabbrica. Il fuoco, un gioco d'azzardo.
Nel 1972 Trifone è invitato ad esibirsi nel Principato di Monaco dove riporta un grande successo e riceve un grosso premio in denaro.
Alle ore 20,30 del 20 ottobre 1973, mentre Trifone con il genero Don Vito stanno preparando la sparata per il prossimo 10 novembre, un lampo e un boato che fa tremare la terra. Trifone, il re dei bengala, quello che empie i cieli di stelle e fa le croci per aria, è lì, tra le macerie, bruciato con una trave conficcata nel petto, sembra un piccolo pupazzo annerito dal tempo. Accanto, il genero Don Vito, anche lui ridotto ad un pugno di carne abbrustolita. Tutta la notte sulla via per Rutigliano, dove era la fabbrica, è un continuo pellegrinaggio. Accorrono da paesi vicini, vogliono vedere, sapere, ma Trifone è in cielo. Ha raggiunto i figli Giovanni, Michele e Luigi che lo aspettano per preparare parate per i Santi.
D'estate, quando il cielo è limpido, in direzione dov'era la fabbrica, si notano bagliori colorati, sono i fuochi dei Bruno in cielo. Sei vite bruciate.
di Francesco NICASSIO

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