la Festa Patronale

Galleria Fotografica - immagini casuali

Il miracolo di San TRIFONE
(VITTORE CARPACCIO)

La venerazione di martiri cristiani del terzo secolo, soldati dell'esercito convertitisi al Cristianesimo, come i Santi Trifone, Teodoro, Servolo, Sergio, Bacco e Giusto è quanto mai viva tra le popolazioni che vivono sulle sponde dell'Adriatico.
San Teodoro è il primo protettore di Venezia, i santi Sergio e Bacco sono gli antichissimi protettori di Ragusa, i santi Giusto e Servolo di Trieste ed infine San TRIFONE è patrono della città di Cattaro.
Trifone nacque a Campsade nella Frigia e subì il martirio insieme con san Respicio durante la persecuzione dell'imperatore Decio nel 250 per ordine del governatore della Bitinia. Nell' 809 alcuni mercanti veneziani, di ritorno dall'Asia minore, mentre stavano trasportando il corpo del Santo a Venezia, giunti in vista delle Bocche di Cattaro, furono colti da una violenta tempesta per cui dovettero riparare in una insenatura nei pressi della città.
Venuti a conoscenza del pio carico della nave veneziana, gli abitanti di Cattaro, guidati dal capo della città Andreaccio, vollero acquistare le sacre spoglie; elessero il Santo a loro patrono e cominciarono subito ad erigere un tempio in suo onore dove ancor oggi s'erge la cattedrale della città.
La vita di San TRIFONE non è descritta nella " Legenda Aurea ", il libro di Jacopo da Varagine da cui il Carpaccio trasse gli episodi dei SS. Giorgio e Girolamo che illustrò nei teleri dipinti per conto della Scuola Dalmata.
L'episodio narrato dal Carpaccio deriva da racconti apocrifi della vita del Santo, protettore della città di Cattaro in Dalmazia e titolare di quella cattedrale (che nella consueta iconografia viene rappresentata sulla sua mano destra): la fonte alla quale il pittore può con maggiore probabilità aver attinto è il codice membranaceo della Marciana del 1466 (Miracoli di San TRIFONE, CL. XI. It. Cod. 196) miniato per commissione della nobile famiglia Bucchia di Cattaro, indicato già dal Molmenti, nel quale si riporta che già da fanciullo il santo operava miracoli liberando dal demonio gli ossessi.
L'episodio raffigurato dal Carpaccio è l'ultimo della serie: la figlia dell'imperatore romano Gordiano era posseduta dal demonio, e soltanto il fanciullo Trifone, ricercato in tutto l'impero, riuscì a liberare la fanciulla dallo spirito maligno.
La scena rappresenta, dunque, il santo giovinetto che materializza in forma di basilisco lo spirito maligno uscito dalla bocca della figlia dell'imperatore. E il codice riporta il dialogo tra San TRIFONE ed il demonio, durante il quale il Santo si informa, tra lo stupore e la meraviglia degli astanti, della natura di Satana e delle sue tentazioni.
La partizione del quadro è scandita dal loggiato ove avviene il miracolo: al centro i due protagonisti, il santo ed il demonio vinto, con il quale, secondo la leggenda, avviene un colloquio sulla natura del peccato; a destra la principessa e l'imperatore con un gruppo di personaggi. Ritorniamo in una atmosfera che ricorda Santa Orsola; il Palucchini pensa di anteporre nella data questo dipinto ai primi tre di San Giorgio.
Una metà del quadro, ove si compie il miracolo, ha per sfondo un palazzo di architettura lombardesca; dai davanzali decorati con arazzi e da una scala esterna si affacciano delle figure verso il primo piano: sembrano comparse in funzione decorativa della messa in scena; hanno però un significato preciso tra le volte e le bifore, le animano con una partecipazione piena di gustosa inventiva, assieme alle note cromatiche che si scandiscono sui damaschi.
Miracolo di San TRIFONE

A sinistra il paesaggio si allarga in prospettiva verso una immagine più circostanziata della città di Venezia con il canale, i ponti, un campanile in mezzo alle case, ed il commento orale dei personaggi che ai distende sulla piazza, le scalinate ed un loggiato adornato a festa.
La decorazione della fascia marmorea in primo piano pone in evidenza alcun ricordi classici cari ad un umanista; pare di intravedere la figura di Tiberio a sinistra, che si alterna ad un busto rinascimentale, al centro l'imperatore Vitellio, poi un altro in simmetria con il secondo, ed infine un ritratto di Cesare. Nell'ovale al centro e nelle losanghe ai lati vi sono busti di imperatori, negli ottagoni ritratti di umanisti. Si tratta di riprese di fantasia dell'artista su modelli di medaglie classiche rinascimentali, che non hanno mai il formato che qui vediamo.
La nostra ricerca archeologica sul quadro può continuare sui basamenti delle colonne, entro losanghe dorate su fondi scuri ed anche sopra le bifore del palazzo lombardesco. Le immagini sono quasi del tutto consunte dal tempo e sembrano scolpiti alcuni rilievi classici come l'artista aveva fatto nel grande palazzo che domina il " Ritorno degli ambasciatori " di Sant'Orsola.
Il pittore ci tiene a farci conoscere il suo interesse umanistico per le medaglie, le placchette e le sculture antiche in un'epoca di medaglisti come il Camello, di letterati quali il Bembo e di collezionisti quale Domenico Grimani.
Il quadro è essenzialmente racconto: viene creato attraverso il giucco scenico tra i personaggi in posa e l'architettura, il vicendevole sciogliersi e il comporsi delle figure con un effetto statico e a volte pettegolo. Per rendersi conto però della diversità di questo racconto, rispetto a quello di altri pittori veneziani dell'epoca, che avevano lavorato per alcune Scuole veneziane, come Lazzaro Bastiani, il Diana, il Mansueti e lo stesso Gentile Bellini, bisogna osservare da vicino le singole figure, anche quelle lontane, concepite tutte come macchie di colore, che conservano la freschezza del tocco e dell'intuizione luministica, nel punto esatto in cui la nota cromatica acquista un suo significato, un accordo previsto nel contesto delle architetture, che si compongono insieme secondo un principio armonico
di Guido PEROCCO

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