Il miracolo di San Trifone
(VITTORE CARPACCIO)
San Teodoro è il primo protettore di Venezia, i santi Sergio e Bacco sono gli antichissimi protettori di Ragusa, i santi Giusto e Servolo di Trieste ed infine San TRIFONE è patrono della città di Cattaro.
Trifone nacque a Campsade nella Frigia e subì il martirio insieme con san Respicio durante la persecuzione dell'imperatore Decio nel 250 per ordine del governatore della Bitinia. Nell' 809 alcuni mercanti veneziani, di ritorno dall'Asia minore, mentre stavano trasportando il corpo del Santo a Venezia, giunti in vista delle Bocche di Cattaro, furono colti da una violenta tempesta per cui dovettero riparare in una insenatura nei pressi della città.
Venuti a conoscenza del pio carico della nave veneziana, gli abitanti di Cattaro, guidati dal capo della città Andreaccio, vollero acquistare le sacre spoglie; elessero il Santo a loro patrono e cominciarono subito ad erigere un tempio in suo onore dove ancor oggi s'erge la cattedrale della città.
La vita di San TRIFONE non è descritta nella " Legenda Aurea ", il libro di Jacopo da Varagine da cui il Carpaccio trasse gli episodi dei SS. Giorgio e Girolamo che illustrò nei teleri dipinti per conto della Scuola Dalmata.
L'episodio narrato dal Carpaccio deriva da racconti apocrifi della vita del Santo, protettore della città di Cattaro in Dalmazia e titolare di quella cattedrale (che nella consueta iconografia viene rappresentata sulla sua mano destra): la fonte alla quale il pittore può con maggiore probabilità aver attinto è il codice membranaceo della Marciana del 1466 (Miracoli di San TRIFONE, CL. XI. It. Cod. 196) miniato per commissione della nobile famiglia Bucchia di Cattaro, indicato già dal Molmenti, nel quale si riporta che già da fanciullo il santo operava miracoli liberando dal demonio gli ossessi.
L'episodio raffigurato dal Carpaccio è l'ultimo della serie: la figlia dell'imperatore romano Gordiano era posseduta dal demonio, e soltanto il fanciullo Trifone, ricercato in tutto l'impero, riuscì a liberare la fanciulla dallo spirito maligno.
La scena rappresenta, dunque, il santo giovinetto che materializza in forma di basilisco lo spirito maligno uscito dalla bocca della figlia dell'imperatore. E il codice riporta il dialogo tra San TRIFONE ed il demonio, durante il quale il Santo si informa, tra lo stupore e la meraviglia degli astanti, della natura di Satana e delle sue tentazioni.
La partizione del quadro è scandita dal loggiato ove avviene il miracolo: al centro i due protagonisti, il santo ed il demonio vinto, con il quale, secondo la leggenda, avviene un colloquio sulla natura del peccato; a destra la principessa e l'imperatore con un gruppo di personaggi. Ritorniamo in una atmosfera che ricorda Santa Orsola; il Palucchini pensa di anteporre nella data questo dipinto ai primi tre di San Giorgio.
Una metà del quadro, ove si compie il miracolo, ha per sfondo un palazzo di architettura lombardesca; dai davanzali decorati con arazzi e da una scala esterna si affacciano delle figure verso il primo piano: sembrano comparse in funzione decorativa della messa in scena; hanno però un significato preciso tra le volte e le bifore, le animano con una partecipazione piena di gustosa inventiva, assieme alle note cromatiche che si scandiscono sui damaschi.

A sinistra il paesaggio si allarga in prospettiva verso una immagine più circostanziata della città di Venezia con il canale, i ponti, un campanile in mezzo alle case, ed il commento orale dei personaggi che ai distende sulla piazza, le scalinate ed un loggiato adornato a festa.
La decorazione della fascia marmorea in primo piano pone in evidenza alcun ricordi classici cari ad un umanista; pare di intravedere la figura di Tiberio a sinistra, che si alterna ad un busto rinascimentale, al centro l'imperatore Vitellio, poi un altro in simmetria con il secondo, ed infine un ritratto di Cesare. Nell'ovale al centro e nelle losanghe ai lati vi sono busti di imperatori, negli ottagoni ritratti di umanisti. Si tratta di riprese di fantasia dell'artista su modelli di medaglie classiche rinascimentali, che non hanno mai il formato che qui vediamo.
La nostra ricerca archeologica sul quadro può continuare sui basamenti delle colonne, entro losanghe dorate su fondi scuri ed anche sopra le bifore del palazzo lombardesco. Le immagini sono quasi del tutto consunte dal tempo e sembrano scolpiti alcuni rilievi classici come l'artista aveva fatto nel grande palazzo che domina il " Ritorno degli ambasciatori " di Sant'Orsola.
Il pittore ci tiene a farci conoscere il suo interesse umanistico per le medaglie, le placchette e le sculture antiche in un'epoca di medaglisti come il Camello, di letterati quali il Bembo e di collezionisti quale Domenico Grimani.
Il quadro è essenzialmente racconto: viene creato attraverso il giucco scenico tra i personaggi in posa e l'architettura, il vicendevole sciogliersi e il comporsi delle figure con un effetto statico e a volte pettegolo. Per rendersi conto però della diversità di questo racconto, rispetto a quello di altri pittori veneziani dell'epoca, che avevano lavorato per alcune Scuole veneziane, come Lazzaro Bastiani, il Diana, il Mansueti e lo stesso Gentile Bellini, bisogna osservare da vicino le singole figure, anche quelle lontane, concepite tutte come macchie di colore, che conservano la freschezza del tocco e dell'intuizione luministica, nel punto esatto in cui la nota cromatica acquista un suo significato, un accordo previsto nel contesto delle architetture, che si compongono insieme secondo un principio armonico
Pellegrinaggio - anno 2004
26 e 27 Giugno 2004 - CATTARO (Montenegro)
Ore 19.25 del 25 Giugno 2004, finalmente la tanto sospirata partenza in tre pullman e un'auto si concretizza, salutando Adelfia. Si avvia verso il porto di Bari dove ci imbarchiamo sul traghetto Sveti Stefan alle 22,00 circa, alloggiati in cabina e pronti per affrontare una notte in mare.....per alcuni questo e' il "battesimo" del mare e per tanti e' il primo viaggio fuori dai confini nazionali.
Ore 08.10 circa del mattino dopo, la motonave attracca nel porto di a Bar in Montenegro. Quivi ci aspettano ancora 3 pullman del posto che ci condurranno a Cattaro, accompagnati da una guida che parla perfettamente l'italiano.
Svolte le varie procedure, finalmente si parte.
Dopo 100 Km una sosta volante per ammirare il panorama fiabesco della costa Dalmata ed in particolare di Sveti Stefan, in italiano Santo Stefano, (antico villaggio di pescatori ed attuale città albergo famosa nel mondo per le sue confortevoli residenze - foto a destra), si raggiunge l'agognata meta.
Qualcuno sfidando la calura estiva (36°), ansioso di raggiungere San TRIFONE, si avvia alla volta della cittadella di Cattaro dov'e' la Cattedrale, più volte distrutta da terremoti e sempre ricostruita.
I tempo sembra essere volato. Ci raggiunge sulla terrazza dell'albergo il capitano Radimir Vjeko, comandante di navi mercantili e profondo conoscitore della storia del luogo e di San TRIFONE, ci illustra il panorama di Cattaro e le sue chiese. Non ci si stancava mai di ascoltarlo. Dopo pranzo e un meritato pisolino, verso le 17.00 siamo usciti diretti verso la parte storica di Cattaro, ansiosi di ammirare ed entare in quella Cattedrale che abbiamo visto soltanto in fotografia...
Attraversando piazze e piazzette e strette viuzze, finalmente siamo presso il sagrato dell'imponente chiesa, finita di ricostruire il 2001, dopo l'ultimo terremoto del '92.
Ben presto il Parroco di Kotor, Don Antonio Belanè e l'amico Radimir ci accolgono fra le fresche e massicce mura, in stile romanico, illustrandoci la struttura della Cattedrale e la figura di San Trifone.
Terminata la visita e venerate le Reliquie del Santo, ci dirigiamo in piazza D'Armi.
Dopo qualche minuto ecco arrivare la vecchia e tradizionale guardia di San TRIFONE, ovvero la "Marinerezza Bochese", con in testa la banda al suono della cantata al Santo <KOLO BOKELISKE MORNARICE> sfilano in parata prima, e danzano poi un vecchio ballo.
Manifestazione che ricorda la fondazione della "Marinerezza" e che si festeggia proprio il 26 Giugno di ogni anno. Per l'occasione della nostro pellegrinaggio, sono intervenuti poi, a parte il parroco, anche l'Arcivescovo il Sindaco, l'Ammiraglio e 2 controAmmiragli, rendendoci i dovuti onori.
Appena dopo le 21.00, lasciando i meravigliosi scenari del centro storco ci siamo avviati a cena.
Alle 08.00 del giorno 27, fatta la dovuta colazione siamo tornati alla Cattedrale dove il ns parroco, don Peppino Diana e il parroco di Cattaro hanno concelebrato una messa solenne.
La fede, la venerazione, la dedizione e l'aggregazione a San TRIFONE era presente. Ancor più quando, portando in processione la reliquia di San TRIFONE, il "Capo Glorioso", l'hanno fatta baciare a tutti i fedeli presenti alla funzione religiosa. La commozione ha raggiunto veramente limiti invalicabili in tutti noi.
Finita la straordinaria cerimonia, salutato i prelati e al suono continuo delle campane non poteva mancare una foto di gruppo, per immortalare questo pellegrinaggio, quindi siamo tornati in albergo per il pranzo. Dopo una siesta alle 17.00, con grande rammarico, si lasciava l'albergo per avviarci alla volta di Bar. Lungo la strada breve tappa a Budva, nella vecchia città medioevale della costa dalmata.
Visitando il meraviglioso centro storico in lungo ed in largo, dopo un leggero snack, alle 19.30 siamo ripartiti alla volta di Bar.
Assolti le varie procedure d'imbarco alle 22.00 siamo partiti; ore 09.00 del giorno successivo siamo sbarcati a Bari con un bagaglio pieno di ricordi.
Giovanni SCAVO
non mi sono mai avvicinata molto a questo sito se non quasi per gioco, ma ora vorrei attraverso questo mezzo raccontarvi chi era Giovanni SCAVO.
Chi l'ha conosciuto sa che uomo era, (mi risulta difficile utilizzare il passato come forma verbale), era buono, altruista, semplicemente am

Questo sito continuerà ad esistere, ed ogni qual volta voi vi avvicinerete a visitarlo, vi prego, ricordate il vostro amico Giovanni, in modo da tenere sempre vivo il suo amore per la vita nel tempo.
A voi dedico una poesia di Madre Teresa di Calcutta, che ho scelto perchè rispecchia molto la personalità di mio padre.
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni.
Però ciò che é importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito e` la colla di qualsiasi tela di ragno.
Dietro ogni linea di arrivo c`e` una linea di partenza.
Dietro ogni successo c`e` un`altra delusione.
Fino a quando sei viva, sentiti via.
Se ti manca cio` che facevi, torna a farlo.
Non vivere di foto ingiallite…
insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.
Non lasciare che si arruginisca il ferro che c`e` in te.
Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto.
Quando a causa degli anni
non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.
Pero` non trattenerti mai!
Con affetto per tutti voi, e con il pensiero rivolto a mio padre.
Giovanni ci ha lasciato il 20 Dicembre 2004.
Antonio Martino, responsabile del portale dedicato alla pirotecnia Doctorfire.it, ha dedicato un pensiero al suo "amico mediatico" Giovanni. Sentiti ringraziamenti vanno da parte della famiglia di Giovanni ad Antonio per la sensibilità mostrata in questo triste evento. Leggi.
Dal Guestbook
4 Gennaio 2005 - 09:39 Fabio from Italia |
Ciao Giovanni... pur non conoscendoti di persona ho sempre ammirato la tua tenacia, la tua volontà... Ora potrai finalmente vedere in volto San Trifone e godere di questa gioia Addio - Fabio e gli amici del comitato festa "S.Giovanni Elemosiniere" di Casarano |
08 Gennaio 2005 - 13:23 Antonio from Italia |
Con profonda tristezza apprendo la scomparsa di Giovanni. Ciao Giovanni. |
04 Gennaio 2005 - 21:32 Enzo from Italia |
"L'entusiasmo è per la vita quello che la fame è per il cibo." (Bertrand Russel) saranno anche insufficenti, queste righe, per salutare un Amico che non vedrò più, ma continuerò lo stesso a sentire quell'entusiasmo che lo ha sempre accompagnato nel raccontarmi delle sue passioni, le sue emozioni, i suoi sogni per la realizzazione di santrifone.it, il luogo che lui ha sempre inteso per incontrare gli amici del mondo, intorno alla figura di San Trifone. Un abbraccio, forte come la personalità, la lealtà di Giovanni, a Mariapia e Gianvito. Un bacio alla piccola Principessa... un ciao, a Giovanni |
04 Gennaio 2005 - 15:40 Antonio (Doctorfire) from Italia |
Con molta tristezza ho appreso soltanto oggi la notizia. Anche se non l'ho mai conosciuto di persona Giovanni era un grande Amico. Mi dispiace davvero tanto. Ciao Giovanni |
29 Dicembre 2004 - 16:36 Alessandro Calaprice from Switzerland |
Giovanni non è più tra noi. Questo mi rattrista molto. Era il collante degli adelfiesi sparsi in tutto il mondo. Chi come me opera tra e per i pugliesi all'estero, sa quanto sia importante avere un punto di riferimento. Ciao Giovanni. Mi mancherai!! Alla famiglia giungano le mie più sentite condoglianze |
28 Dicembre 2004 - 09:21 Michel PACCELLIERI from France |
A toi Giovanni, pour toutes les joies, les émotions, et tous les souvenirs, que tu as suscité en nous, émigrants d'Adelfia, à travres ce merveilleux site, je veux simplement de dire un grand : MERCI ! Michel Paccellieri - Dannemarie/France |
27 Dicembre, 2004 - 15:56 Gianvito from Italy |
Trifone BRUNO
Giovanissimo lavora a Verona presso una ditta di esplodenti, a Buffoluto, polveriera dì Stato. A 17 anni è capogiovani nella fabbrica di Augusto da Terlizzi e col fuoco dentro, se "ne scende" (scappa di casa ndr) con Brunetta sua sposa e dalla quale avrà 8 figli. A 19 anni è capogiovani nella fabbrica della vedova Vernola da Molfetta, dove prepara una sparata per Montrone (S. Trifone 1927) con 80 bombe di tiro. Uno spettacolo ancora vivo nella memoria dei suoi estimatori. Sollecitato dagli ammiratori, nel 1928 Trifone mette su fabbrica. Il suo nome da battaglia, fa scuola. Le sue bombe cantano. E' il re dei tempi e delle novità. Le sue bombe sono sempre più ardite, sino a sfidare i limiti dell'arte. Primo quello di far aprire la prima pacca della bomba a pochi metri dall'uscita del mortaio per alleggerirla e mandarla alta nel cielo. Altra sfida è la preparazione della polvere di lancio. Ha intuito che le tre componenti della polvere nera, nitrato (75 parti), carbone (15), zolfo (10) devono raggiungere un'altissima omogeneità, cui corrisponde una più alta velocità di combustione, conferendo alla miscela un forte potere di lancio, con risultati eccellenti sulla balistica. Infatti le bombe di Trifone raggiungono le nuvole e sono lunghe che non finiscono mai.
Egli conosce a menadito tutti i combustibili, dai metalli ai clorati, tutti i comburenti, dai nitrati alla scialacca, tutti i coloranti delle fiamme, dai solfati ai carbonati.
Ne sa più di un chimico e nel 1966 suggerisce ad una nota fabbrica di esplodenti italiana, fabbricante di razzi antigrandine, la collocazione di una valvola di scarico dei gas per eliminare un difetto di scoppio alla partenza. Re delle polveri, sostiene che "lapolvere non conosce padrone".
Nel 1940 spira aria di guerra. I fuochi pirotecnici sono vietati. Trifone è costretto a chiudere.
Emigra in Germania per un lavoro in miniera, dove rimane fino al 1943. L'8 settembre scappa aggrappato sotto un carro merci. In Germania lascia una fiamma con la quale mantiene una romantica corrispondenza.
Le sue lettere hanno un inizio comune: "Main liben fraulen". Nel 1945 riapre la fabbrica. Le materie prime scarseggiano. Nei campi degli alleati c'è polvere a buttare che neppure si paga. Trifone la usa per mina di lancio. Si tratta di polvere contenuta nelle bombe di aereo. E' fatta a palline. Per essere utilizzata deve essere triturata finemente. Le palline vengono versate nel mortaio, una vasca di pietra e battute con un maglio di legno, fino alla polverizzazione.
Alle ore 14,00 del 17 giugno 1946 lo zio di Trifone sta battendo con il maglio le palline. Pochi colpì di maglio ancora e si va a pranzo. I figli Giovanni (anni 20) e Michele (anni 18) hanno smesso. Michele dice allo zio: "Finisco io". Al primo colpo una fiamma violenta invade i tre. Giovanni muore il giorno dopo, lo zio tre giorni dopo. Michele sale al cielo nel mese di ottobre. Il tempo passa e sana le ferite.
Il 12 maggio 1956 il figlio Luigi (anni 18) trasporta sulla lambretta un sacchetto di polvere nera che, toccando sulla marmitta, si riscalda, esplode e manda in aria a pezzetti il mezzo e il ragazzo, sulla provinciale per Rutigliano, al chilometro 1,5 da Adelfia. Il 10 novembre 1956 (S. Trifone) a Montrone, Trifone si esibisce con uno spettacolo al di fuori dell'ordinario: il finale che è rimasto nella memoria di tutti gli estimatori e che molti maestri pirotecnici hanno tentato di imitare senza riuscirvi. Si trattò di due finali, il primo eccezionale nella stesura tradizionale, il secondo iniziò subito dopo l'ultimo botto del primo con bombe di grosso calibro ad alto potenziale, di eccellente fattura, ritmate, con quel ritmo che solo lui sapeva dosare, proseguendo con un inferno bis e una seconda chiusura più eccentrica, fragorosa e articolata da lasciare sbalorditi. Era la risposta di Trifone ai misteri delle misture di cui conosceva tutti i segreti e che per due volte avevano funestato al sua fabbrica. Il fuoco, un gioco d'azzardo.
Nel 1972 Trifone è invitato ad esibirsi nel Principato di Monaco dove riporta un grande successo e riceve un grosso premio in denaro.
Alle ore 20,30 del 20 ottobre 1973, mentre Trifone con il genero Don Vito stanno preparando la sparata per il prossimo 10 novembre, un lampo e un boato che fa tremare la terra. Trifone, il re dei bengala, quello che empie i cieli di stelle e fa le croci per aria, è lì, tra le macerie, bruciato con una trave conficcata nel petto, sembra un piccolo pupazzo annerito dal tempo. Accanto, il genero Don Vito, anche lui ridotto ad un pugno di carne abbrustolita. Tutta la notte sulla via per Rutigliano, dove era la fabbrica, è un continuo pellegrinaggio. Accorrono da paesi vicini, vogliono vedere, sapere, ma Trifone è in cielo. Ha raggiunto i figli Giovanni, Michele e Luigi che lo aspettano per preparare parate per i Santi.
D'estate, quando il cielo è limpido, in direzione dov'era la fabbrica, si notano bagliori colorati, sono i fuochi dei Bruno in cielo. Sei vite bruciate.
Luigi GARGANO
Ripercorriamo, con l'aiuto del nipote Vincenzo Prudente, la storia del Cav. Luigi Gargano, storico pirotecnico Adelfiese, che grazie alla sua straordinaria arte ha scolpito la sua memoria nella leggenda dei più grandi pirotecnici.
Luigi Gargano, 92 anni, è soprannominato ”Barb'ngir”. Suo padre Trifone è il secondo marito della vedova Anna Bellomo, che dal primo matrimonio (1905) ha avuto un figlio. Un altro maestro dell’arte pirotecnica: Trifone Bruno. Luigi è un bambino intelligente e vivace. A scuola è brillante, e la sua bravura in matematica sarà fondamentale per i successi nel suo futuro lavoro. ll maestro incontrerà più volte la mamma Anna invitandola a fargli proseguire gli studi, ma le disponibilità economiche non lo permetteranno. All’età di otto anni trova a casa un mucchio di polvere da sparo. La tentazione di emulare suo fratello Trifone è irrefrenabile: prende la polvere, dei pezzi di sacchi del cemento, crea una batteria e accende la miccia. Dopo pochi secondi il materasso della camera da letto è in fiamme. Consapevole del danno, scapperà di casa e passerà le due notti successive dormendo su un albero, in campagna. Cresce facendo il garzone di bottega, aiutando suo fratello Trifone in fabbri ca. Impara così i segreti della pirotecnica, ponendo le basi della sua luminosa carriera. Da adolescente si troverà spesso a sostituire suo fratello Trifone alla guida della fabbrica, con risultati straordinari: dopo uno spettacolo pirotecnico in un paese vicino, il Comitato Feste locale si avvicina al campo fuochi per congratularsi con il “maestro”. Scopriranno sbigottiti che ad aver diretto quella batteria è stato un ragazzino alto la metà di una bomba da tiro. Appena ventenne, partecipa agli scontri del secondo conflitto mondiale in Sicilia. Catturato e portato in un campo di lavoro, riesce a fuggire insieme ad un amico. Attraversa lo Stretto di Messina, agitatissimo, su di una piccola barca, e da lì torna a piedi fino a Taranto, da sua sorella. Pochi metri più in là abita Concetta, che sposerà nel 1947. Da lei avrà cinque figli ed un matrimonio che dura ancora oggi da oltre 66 anni. Dopo essere tornato ad Adelfia, nel 1951 emigra in Venezuela. Quattro anni dopo ritorna e fonda la sua prima fabbrica pirotecnica Adelfiese. Non passerà molto tempo finché inizierà a mettersi in mostra, instaurando la leggendaria rivalità con suo fratello Trifone. l loro spettacoli sono vere battaglie fino all'ultima bomba, che attireranno l’attenzione di tutta l'ltalia. Nel 1960, tuttavia, chiude la fabbrica di Adelfia, accettando di lavorare a Bologna, presso la ditta Mastrodonato, nella quale dirigerà il lavoro di decine di operai. Nel 1961 viene chiamato per dare spettacolo alla festa del centenario d'ltalia a Torino. Viene invitato ad esibirsi in grandi piazze: a Recco, Sirmione, Venezia, Sanremo, Genova, Brescia e tanti altri luoghi. Resterà a Bologna fino al 1966, per ritornare ad Adelfia e riaprire la sua fabbrica. Padroneggia un'arte ormai eccelsa, affinata dalle esperienze nel nord Italia, e prova ne sarà la fama che conquisterà in seguito a vittorie e spettacoli mozzafiato. Tante saranno le volte in cui verrà portato in trionfo dal campo fuochi fino a Corso Umberto l.
Nel 1973 suo fratello Trifone muore nell'esplosione della sua fabbrica, e Luigi decide di lasciare ancora una volta Adelfia, questa volta recandosi a Torino, per lavorare presso la ditta Panzera. Vi resta qualche tempo ma, non sentendosi pienamente gratificato, nel 1979 per l'ennesima volta torna al suo paese di origine per rifondare la sua fabbrica, consacrandosi definitivamente nella storia dell'arte pirotecnica.
Si esibisce in tutta la Puglia, in Sicilia e spesso insieme alla ditta Bruscella gareggia contro i grandi maestri napoletani, superandoli quasi sempre. E in questi anni che arriva il riconoscimento più grande della sua carriera: viene nominato Cavaliere del Lavoro. Nel 1986 avviene un incidente dal quale si salva per un soffio: mentre lavora ad un macchinario, una distrazione provoca una scintilla che dà fuoco ad una miccia: se ne accorge in tempo e riesce a mettersi in salvo dall'esplosione di un immobile della fabbrica. Tuttavia la pioggia di materiale esploso lo colpisce ad una mano, che resta offesa a vita.
Dopo l'incidente, a 65 anni superati, termina la sua carriera da protagonista, e passa la ditta ai figli, cui non farà mancare comunque la propria presenza e sapienza. A metà degli anni '90, c'è ancora tempo per un ultimo grande spettacolo: è l'ultimo pirotecnico a sparare nei fuochi diurni di San Trìfone. La perfezione del ritmo, del suono, dei tempi dello spettacolo lascia meravigliati e commossi lui stesso e i suoi figli. Suo figlio Alfredo ha la pelle d'oca quando ricorda quei momenti: ha le mani tra i capelli e le lacrime sul viso quando, addirittura prima della fine del bombardamento, sente le urla di un'ondata di persone che corrono verso di loro per prenderli sulle spalle e portarli in trionfo. Nel 1997, quando gli anni di Luigi iniziano a farsi sentire, la fabbrica viene definitivamente chiusa. A tanti anni di distanza, il ricordo di "Mèst Luigi” è ancora limpido nella mente degli Adelfiesi. “Sul piano tecnico e della qualità, era superiore a tutti gli altri, non c’era storia”, ricorda Michele Bruno, suo grande amico. “Se la festa di San Trìfone è quella che conosciamo oggi - prosegue Michele Bruno - lo dobbiamo a lui e a Trifone Bruno. La loro rivalità è stata determinante per la crescita della festa, nessuno può negarlo. Se Adelfia deve costruire un monumento, deve farlo per loro due”. A distanza di tanti anni, il Comitato Feste San Trìfone, che conserva ancora il ricordo dei suoi spettacoli, in occasione degli ultimi festeggiamenti al nostro Santo Patrono lo scorso 11 novembre gli ha donato un'effigie ricamata con l’immagine di San Trìfone, “per la sua sapienza e fantasiosa manipolazione del fuoco pirotecnico”.
di Vincenzo PRUDENTE
(pubblicato su IL PONTE, mensile di attualità locale. Anno 2013)
Il Cav. Luigi GARGANO lascia questa vita terrena il 3 Giugno 2014, all'età di 93 anni.